Luca Marcotullio, OBR: Il BIM è qualità

Durante gli studi di architettura l’Arch. Luca Marcotullio ha avuto modo di conoscere il BIM e i vantaggi che porta alla progettazione e da quel momento non ha più abbandonato questa metodologia. Oggi collabora come BIM Coordinator con lo studio Open Building Research (OBR) di Milano.

Quale è stato il percorso professionale che l’ha portata al BIM?
Negli ultimi atti universitari, nel 2013, stavo restituendo un rilievo di un edificio storico abbastanza grande. Procedevo col metodo tradizionale, come avevo imparato all’università, cioè rappresentando l’edificio con linee e simboli, cercando di far combaciare tutti gli elaborati durante le innumerevoli modifiche. In quel momento -già di apprensione e sconforto per il tempo sperperato a controllare linee- mi venne mostrato un accenno di quanto poteva fare Revit in pochi minuti di lavoro. Rimasi folgorato dall’approccio totalmente nuovo: gestire oggetti anziché linee; per fare il mio rilievo avrei impiegato un decimo del tempo.
Frequentai subito un corso base sul software, e poco dopo iniziai a lavorare prima in piccoli studi, dove senza successo cercavo di coinvolgere anche gli altri collaboratori nel nuovo strumento. Poi ebbi la fortuna di lavorare come “disegnatore Revit” sul progetto architettonico esecutivo di un grande ospedale. Quel team stava usando Revit per la prima volta e non è stato facile ma siamo riusciti a completare il progetto. Sentivo però di avere un approccio soltanto strumentale, mentre desideravo sapere molto più sulla metodologia BIM. Nel 2017 frequentai il MasterKeen di AM4 -ora Volcano High- a Lecco. Un’iniezione di mille ore sul BIM. Un passo fondamentale per la comprensione matura del metodo, e la crescita professionale che mi ha dato l’opportunità di lavorare su grandi progetti architettonici, in grandi studi professionali italiani.

Quali sono le principali caratteristiche della sua figura professionale?
Viste la mia passione per l’architettura e le competenze teoriche e pratiche acquisite dal master, ho avuto spesso la fortuna di lavorare e crescere sia come progettista architettonico che come esperto del metodo BIM; ossia come figura di riferimento aziendale per l’implementazione del metodo. Questo avviene mentre ho il ruolo principale di BIM Coordinator architettonico sulle commesse, come garante della qualità del modello assemblato, coordinando -per gli aspetti BIM- il team progettuale interno e il lavoro delle altre discipline.
Poiché la progettazione si svolge nella sinergia dei professionisti, ritengo che nel team tutti dovrebbero partecipare allo sviluppo progettuale: nel modello BIM molti aspetti sono in relazione tra loro, come lo sono effettivamente nel progetto e nella realtà di cui il modello è simulazione. È quindi evidente che avere un gruppo consapevole e ben coinvolto nella progettazione genera un livello maturo di reciproco controllo e contributo alla produzione: un processo collaborativo.
In quest’ottica, come BIM coordinator, partecipo alla progettazione in modo da poter gestire anche le interferenze con le altre discipline con un approccio progettuale, anziché di vederli come problemi geometrici tra i nostri oggetti e i loro.
Nel mentre mi assicuro anche che vengano perseguite le strategie migliori di modellazione e collaborazione definite nel Piano di Gestione Informativa, un documento in continuo raffinamento confrontandosi con le altre figure gestionali e le esigenze specifiche dei progetti. In questo senso mi piace cercare le soluzioni più efficienti ed efficaci per sfruttare al meglio risorse e strumenti, in modo che si lavori meglio.

Quali vantaggi secondo lei porta il BIM alla progettazione?
La qualità. Fin dal principio ho visto nel BIM la meravigliosa possibilità di produrre un progetto di maggior qualità, migliorando anche la quotidianità del lavoro. L’interazione tra gli oggetti e tra le informazioni, la collaborazione tra i professionisti oltre che tra le varie discipline ha il potenziale di generare un prodotto finale molto più controllato, raffinato, pensato.
Usando il metodo e gli strumenti in modo maturo, cosa purtroppo cosa ancora molto rara, ci sono enormi risparmi di tempo non solo nella produzione quotidiana degli elaborati, ma anche nell’avere un progetto che essendo più controllato, maturo e approfondito, richiede meno revisioni.
Questo logora meno i progettisti su mansioni inefficienti, obsolete o ripetitive, potendo invece focalizzare più energie e tempo sulla qualità del progetto, che è il fine ultimo di tutto.

Come si lavora in BIM all’interno della sua realtà aziendale?
Da più di un anno lavoro nello studio di progettazione architettonica Open Building Research (OBR) di Milano, su progetti di medie dimensioni dove, sospinti anche dalle richieste delle committenze, stiamo sviluppando il metodo che calzi meglio alla dimensione lavorativa di OBR. Il bello di questa realtà lavorativa è che l’obiettivo principale resta, coerentemente, la qualità architettonica da produrre, e quindi si ha molta attenzione anche ai dettagli, alla tecnologia e all’immagine finale; questo in un ambiente in cui chi prende decisioni ha scelto in quale direzione andare riguardo al BIM.

 Quali sono secondo lei le prospettive future del BIM in Italia?
Ho avuto modo di sondare la situazione nei grandi studi di progettazione, mentre vedo di riflesso il resto del mercato, e la situazione è molto variegata. Dal punto di vista degli studi di progettazione direi che si possono distinguere almeno tre tipi di realtà, in base alla maturità di utilizzo del metodo BIM.
Le realtà che hanno cominciato questo percorso da più di cinque anni hanno ormai una consapevolezza aziendale diffusa e una struttura abbastanza consolidata, contando su un team abile, per cui lavorano costantemente in un workflow BIM. Ci sarà sempre da migliorare ma l’ostacolo maggiore è stato superato, cioè il trasformare l’intero workflow produttivo.
Poi ci sono gli studi che, seguendo le esigenze del mercato, ha deciso di intraprendere questo cambiamento, comunque lento e dispendioso, e hanno ancora delle viscosità interne tra il metodo tradizionale e il BIM. In questi casi è fondamentale che la consapevolezza venga spinta da chi è a capo della realtà, affinché il cambiamento venga dall’alto.
Infine ci sono moltissimi studi che, poiché lavorano su progetti di piccola scala e quindi non sono obbligati dai vincoli delle gare d’appalto, e quindi scelgono di non affrontare i costi di formazione e trasformazione, restano interamente nel metodo tradizionale.
Generalmente credo che per chi vorrà lavorare su progetti di medio-grande dimensione la scelta sia obbligata -nonostante sarebbe del tutto ragionevole anche senza obblighi- per i vincoli della partecipazione ai bandi di gara, mentre i piccoli studi proseguiranno nel tradizionale per ancora diversi anni o forse per sempre.
Non credo che la distinzione debba basarsi su una questione di dimensione dell’oggetto progettato, la progettazione informativa nacque per oggetti molto più piccoli, negli anni ’80 fu il settore manifatturiero e automobilistico che ne comprese i grandi benefici. La discriminante, credo che sia soprattutto il costo-beneficio.

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Giornalista professionista della redazione di BIMportale, dopo i primi anni a rincorrere notizie di cronaca e attualità ha deciso di fermarsi per seguire più da vicino il mondo dell’architettura e del design. Collabora con diverse testate di questo settore alla ricerca di progetti e nuove iniziative da raccontare e descrivere con una particolare attenzione alle idee più innovative approfondendo anche tematiche legante al rispetto dell’ambiente e alle fonti rinnovabili.


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