Maria Roberta Rotondo, AECOM: standardizzare i processi senza perdere la creatività

Quando si è laureata nel 2010 in architettura al Politecnico di Bari, Maria Roberta Rotondo non avrebbe mai immaginato che il suo futuro sarebbe stato legato alla digitalizzazione e al BIM. In quegli anni, in Italia, non si parlava ancora di questa nuova metodologia, è stato il suo trasferimento a Manchester che l’ha portata ad avvicinarsi ad un approccio totalmente diverso al mondo della progettazione e a cambiare le sue prospettive lavorative. Oggi è rientrata in Italia e gestisce in qualità di BIM Manager il team BIM e DIGITAL di AECOM nel nostro Paese.

Qual è stato il suo percorso di studi e professionale che l’ha portata al BIM?
Dopo la laurea, ho avuto diverse collaborazioni con studi professionali del mio paese mentre studiavo per conseguire l’abilitazione professionale, poi ho deciso di trasferirmi a Milano, dove ho iniziato a collaborare con lo studio di architettura di Interni Natalia Bianchi. Lavoravamo prettamente in CAD, ma è stato durante questa esperienza che ho conosciuto il software di authoring Revit grazie a dei corsi di formazione che ho seguito per ottenere i crediti formativi. Nel 2014 mi sono trasferita a Manchester, lasciando il lavoro dello studio di Milano, e nonostante alcune iniziali difficoltà ho trovato lavoro in una società di servizi dove sviluppavamo dei modelli scan to BIM partendo dal rilievo laser scanner per diverse tipologie di clienti, anche molto prestigiosi. Era un periodo molto florido per il BIM nel Regno Unito. Questa è stata un’esperienza formativa e cruciale per la mia carriera perché lavoravo al fianco di esperti BIM, di invidiabile esperienza nel settore, dai quali ho appreso molto. Avevamo la possibilità di interagire con i colleghi al progetto in un vero approccio condiviso. Lavoravamo sul cloud, in maniera simultanea sugli stessi modelli, un approccio ormai di prassi, ma rivoluzionario per i tempi, e per il mio passato da CAD designer. Dopo 3 anni, ho deciso di ritornare all’ architettura e al design e nel 2018 sono entrata in AECOM, la società multinazionale che offre servizi di consulenza sui diversi campi della progettazione, e sono rientrata in Italia con il compito di strutturare nella sede di Milano un team dedicato al BIM. I nostri progetti sono principalmente con committenza pubblica e semipubblica. Rientrata in Italia ho ottenuto la certificazione da BIM Manager per ottemperare i requisiti della normativa UNI 11337. Il nostro team sta crescendo molto e l’obbiettivo che vorrei raggiungere è quello di diffondere la cultura dei Digitale in tutti i dipartimenti della nostra azienda, e a tutti i livelli manageriali. In generale, nel nostro ambiente si riscontra la presenza di un gap generazionale sul tema digital e BIM: colleghi con grandissima esperienza lavorativa non hanno un approccio BIM ed è nostro dovere accompagnarli in questa transizione per apprendere come la digitalizzazione dei progetti possa implementare la loro stessa qualità. La Digital transition è un cambio di approccio al progetto, oltre che una rivoluzione culturale.

Vi occupate principalmente di opere pubbliche le stazioni appaltanti sono pronte al BIM?
Devo dire che incontriamo sempre di più committenti preparati. Nella gestione delle nostre commesse pubbliche parliamo con interlocutori che sanno quello che vogliono ottenere da un modello BIM e soprattutto quali sono i vantaggi di avere un modello digitale che racchiuda le informazioni per tutte le fasi progettuali, dal progetto preliminare alla gestione del ciclo di vita di un’opera. Credo che il periodo del Covid abbia contribuito allo sviluppo dei processi digitalizzati e abbia portato ad una accelerazione nell’adozione di strumenti tecnologicamente avanzati per la digitalizzazione.

Quali caratteristiche dovrebbe avere la sua figura professionale?
Essere BIM Manager vuol dire essere responsabili dei processi BIM, nel rispetto delle normative, garantendo che essi corrispondano alle aspettative del cliente e garantiscano la qualità. In AECOM, il controllo della qualità dei progetti è una pratica molto importante e regolata da procedure precise anche se a volte, le scadenze troppo ravvicinate delle consegne va a scapito di questo aspetto che viene spesso sottovalutato e dato per scontato. Il corretto approccio al progetto BIM e l’attenzione alla qualità aiutano nell’organizzazione puntuale del flusso di lavoro sin dall’inizio e a mettere in atto processi sempre più automatizzati che permettano di poter avere un maggior controllo su ogni aspetto della commessa in maniera coordinata e condivisa.

Che cosa vuol dire per lei far parte di Women in BIM?
Devo dire che l’incontro con Women in BIM è stato molto casuale, ho visto un annuncio su Linkedin in cui cercavano Mentor e Mentee e ho pensato di mettermi in contatto con loro soprattutto perché potevo dare il mio contributo, trasmettere le mie esperienze e confrontarmi con altre professioniste del settore. Dopo lunghe chiacchierate con Laura Tiburzi ho deciso di partecipare al programma di mentoring come mentor e ho seguito una giovane collega siciliana, ingegnere edile, che stava facendo la sua esperienza come BIM Coordinator, anche lei era alle prese con progetti e commesse pubbliche. L’ho trovata un’esperienza davvero importante che mi ha arricchito molto per il continuo scambio intercorso tra noi. Erano incontri  mensili strutturati a partire da domande che mi poneva lei e sfociavano in confronti e spunti sempre interessanti.

Quale progetto cui ha partecipato ha in qualche modo segnato la sua esperienza nel BIM?
Oggi lavoro a tante commesse pubbliche e ci si rende conto di quanto sia fondamentale il BIM per la gestione e la manutenzione delle infrastrutture. Credo che questo sia molto importante per il futuro del nostro Paese ed è quindi bello poter in qualche modo farne parte. Sicuramente però un progetto che ha aiutato molto il mio percorso di formazione è stato il progetto della modellazione BIM della Manchester Town Hall di cui mi sono

ManchesterTownHall – Photo credit: HOBS STUDIO UK

occupata quando lavoravo in Inghilterra. La commessa è partita da una restituzione dello stato di fatto dell’edificio storico-vincolato in un modello BIM con un basso livello di dettaglio per il Facility Management, per arrivare alla restituzione di un modello ad altissimo livello di dettaglio, che è diventato uno strumento fondamentale per il progetto di restauro, ancora in corso. E’ stato un lavoro importante, durato diversi mesi, che si è evoluto e ha cambiato le sue connotazioni e lo scope of work man mano che esploravamo le potenzialità dell’HBIM e mi ha dato la possibilità di collaborare con importanti professionisti del settore, arricchendo la mia esperienza lavorativa nell’ambito BIM.

Come vede lo sviluppo del BIM in Italia?
Quando sono arrivata in Inghilterra, era il periodo florido del BIM, perchè si stava strutturando con i nuovi regolamenti, era già largamente conosciuto e si stava diffondendo in maniera strutturata e anche il piccolo studio era già attrezzato. In Italia purtroppo c’è ancora un forte divario tra i grandi e i piccoli studi e una diffidenza culturale al cambiamento, che inevitabilmente coinvolgerà tutti. I piccoli studi hanno difficoltà nel poter investire in formazione del personale e nell’acquisto delle licenze dei software. Credo si debba cercare di dare a tutti le stesse possibilità di evolversi e crescere in questa direzione.
Le prospettive future sono accattivanti e interessanti. La digitalizzazione,  e l’uso dell’intelligenza artificiale e dei droni per la realtà aumentata possono rendere più efficiente il nostro approccio alla progettazione e alla collaborazione tra le varie discipline.  Sono molto fiduciosa che l’uso appropriato di queste tecnologie possa migliorare il nostro settore garantendo, ad esempio, la sicurezza nei cantieri con la giusta programmazione e le simulazioni, favorendo la collaborazione, la proattività nelle modifiche, e accelerando i processi nella filiera.  Spero anche che non si commetta l’errore di affidarci troppo a questi strumenti perdendo la passione per l’architettura e la creatività che è la nostra chiave distintiva. Se la tecnologia e il digitale stanno migliorando la qualità dei nostri output, riducendo i tempi e le rielaborazioni, potremmo correre il rischio che il nostro edificio perda l’essenza della progettazione commisurata alle esigenze del cliente e al contesto del progetto e che l’architetto perda il suo ruolo principale nel progettare il luogo per le persone, sostituito da modelli automatici e parametrici. L’invito è quello di impiegare il tempo risparmiato, con l’automazione dei processi di raccolta dati e modellazione, nella progettazione accurata, concentrandoci sulla qualità e sulla coerenza del progetto.

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Giornalista professionista della redazione di BIMportale, dopo i primi anni a rincorrere notizie di cronaca e attualità ha deciso di fermarsi per seguire più da vicino il mondo dell’architettura e del design. Collabora con diverse testate di questo settore alla ricerca di progetti e nuove iniziative da raccontare e descrivere con una particolare attenzione alle idee più innovative approfondendo anche tematiche legante al rispetto dell’ambiente e alle fonti rinnovabili.


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