Pierpaolo D’Agostino: vanno formati tecnici, non operatori

Abbiamo chiesto all’Ing. Pierpaolo D’Agostino, PhD Professore associato, Università degli Studi di Napoli “Federico II”, Dipartimento di Ingegneria Civile Edile ed Ambientale, di raccontarci il su o percorso per arrivare al BIM e il ruolo che deve avere l’Università nello sviluppo del Building Information Modeling.

Come è entrato il BIM nelle sue attività di docenza?
Il BIM ha occupato i corsi che mi vedono docente da prima che entrasse in vigore l’attuale assetto normativo. Da tempo, il BIM è stata una presenza costante che, anche quando non operativamente, era al minimo citato nella parte teorica dei miei corsi. In essi, la prima comparsa è stata nell’insegnamento di “Disegno dell’Architettura II” nel corso quinquennale di Ingegneria Edile-Architettura, come modulo di un corso destinato a formare alla rappresentazione grafico tecnica ed alla modellazione digitale. Questo è stato preludio ad un insegnamento inserito nel piano di studi della Laurea Magistrale in Ingegneria edile (al quinto anno del corso) denominato “Modellazione Avanzata”, specificamente incentrato sulla formazione, stavolta sia teorica che operativa, del BIM nella sua essenza tanto di Model quanto di Modeling. Ad oggi rappresenta, in affiancamento ad altri insegnamenti nell’Ambito dei Dottorato di Ricerca del Dipartimento di Ingegneria Civile Edile ed Ambientale, il nocciolo duro non solo della mia personale attività didattica ma altresì del BIM nei corsi di area edile del Dipartimento.

Da quanto tempo si occupa di BIM?
Disciplinarmente, mi sono da sempre occupato della rappresentazione digitale e della virtualizzazione tanto alla scala territoriale – approfondendo specificamente il GIS nelle sue varie forme e rese – quanto a quella edilizia. In tal senso, gli interessi di ricerca che hanno investito la mia attività di formazione e di investigazione ha incontrato il BIM sin dal 2005, scoprendo e avendo i primi contatti con le normative scandinave, in quegli anni in via di adozione. Pur congelato l’approfondimento per alcuni anni, avendo poi focalizzato l’attenzione sulle nuove tecniche e tecnologie di scanning, le possibilità offerte dal Cloud to BIM hanno permesso di ritornare ad occuparmi del tema in più specifici studi e approfondimenti.

Quanto è importante il BIM nella rappresentazione e la fruizione del Cultural Heritage?
Credo che il BIM sia ancora complesso per quanto riguarda la gestione del Cultural Heritage in senso completo e definito così come avviene per quanto concerne la nuova costruzione. I problemi connessi alle difficoltà di standardizzazione – e di conseguenza di classificazione object-oriented delle istanze finalizzate alla modellazione parametrica tipica del BIM – di fatto ancora impediscono una reale applicazione di metodo. Sia inteso, la diffusione è in costante aumento, tanto i casi pilota che la normativa ha previsto quanto i tentativi che si stanno sempre più affermando in lavori tra committenza pubblica e Università in primis – penso agli accorsi tra Demanio e Ateneo, ad esempio – hanno sdoganato la possibilità di applicare un processo BIM oriented anche all’esistente; la norma stessa nei fatti lo prevede, se si considera il LOD G che recepisce le esigenze italiane, diverse rispetto ad altri contesti internazionali. Cionondimeno, dei flussi di lavoro in grado di collezionare l’interezza della base informativa tipica dell’esistente ed in particolare di pregio architettonico o monumentale, ancora richiede artifici operativi, molto manuali e poco automaticamente implementabili, che di fatto ancora rischiano di interrompere la modellazione BIM tra i vari operatori della filiera AEC (e senza considerare ancora i ragionevoli ritardi insiti nel difficile aggiornamento tra settori che sono ancora lontani dal sentirsi fidelizzati e parte di tale nuovo paradigma della progettazione!)

Come riesce ad indirizzare gli studenti verso un nuovo metodo per l’ottimizzazione della pianificazione, realizzazione e gestione di costruzioni tramite l’aiuto di un software?
Il principio basilare che seguo nei miei corsi si riferisce ad un assunto che personalmente trovo necessario seguire: vanno formati tecnici, non operatori. In ogni momento, l’insegnamento è volto al comprendere cosa c’è dietro il modello, come lavora una piattaforma, cosa sia l’interoperabilità e le sue criticità, prima ancora di approcciare a piattaforme che operativamente richiedono comunque un addestramento, a volte ancora difficile da inquadrare nella normale tempistica della semestralizzazione. Ma quando un allievo inserisce un’istanza in un modello all’interno di una piattaforma software, prima di ciò desidero che abbia già dovuto fare un percorso di istruzione ai problemi teorici – dalle varie rappresentazioni digitali arrivando alla norma ed alla normativa passando per i formati aperti e per i problemi di scambio dati – in modo da essere criticamente attivo all’atto del suo lavoro materiale (per dirla in altri termini, è mio interesse che nei miei corsi non imparino solo ad essere BIM operator ma che, almeno in nuce, tendano quanto meno a comprendere problemi che potrebbe porsi un BIM coordinator).

Come si stanno orientando gli studenti al BIM?
Gli studenti, per età e per interesse legato al prossimo loro inserimento nel mondo del lavoro, sin da subito hanno intuito la necessità a formarsi a tale nuovo paradigma delle discipline tecniche. L’affluenza ai corsi è in aumento anno dopo anno. E anno dopo anno intuiscono con sempre più cognizione di causa che tutto non ruota meramente attorno ad un software ma ad una nuova filosofia del progettare e del costruire: compito dell’Università – ammetto, assolto ancora con una certa fatica – metterli in condizione di apprendere sia l’uno che l’altra. E di capire che l’operatore è importante ora come prima e che il software non è la panacea di tutti i mali.

Quali sono secondo lei le prospettive future del BIM in Italia?
Tutto starà a come il Decreto e le sue successive forme attuative saranno monitorate e disciplinate. Il nostro contesto non sarà in grado – differentemente da altri paesi – abbastanza virtuoso da autoregolarsi e da incentivare il cambiamento se non indirizzato da un serio assetto burocratico di controllo e di instradamento a che la pratica oggi ancora intesa pionieristica (ancora molti tecnici sanno al più l’acronimo che cosa significhi!) diventi talmente metabolizzata da potersi ritenere inutile una disciplina normativa: così come oggi è possibile ritenere certo ed assodato che il CAD è parte integrante del lavoro quotidiano, un giorno forse anche il BIM lo diventerà. Credo che l’Italia vivrà questa metabolizzazione non senza una certa fatica, che sarà alta se non si tenderà a lavorare sinergicamente in tutti i settori – dal progetto al cantiere e, non ultimo, la valutazione della bontà progettuale ed esecutiva – a produrre un serio cambiamento non solo di metodo ma di mentalità.

 

 

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Giornalista professionista della redazione di BIMportale, dopo i primi anni a rincorrere notizie di cronaca e attualità ha deciso di fermarsi per seguire più da vicino il mondo dell’architettura e del design. Collabora con diverse testate di questo settore alla ricerca di progetti e nuove iniziative da raccontare e descrivere con una particolare attenzione alle idee più innovative approfondendo anche tematiche legante al rispetto dell’ambiente e alle fonti rinnovabili.


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