Simone Garagnani: ripensare modi e metodi

L’indagine sui professionisti del mondo del BIM passa anche dalle Università e Centri di Ricerca; per questo abbiamo intervistato il Prof. Simone Garagnani, Ingegnere edile e dottore di ricerca in Ingegneria Edilizia e Territoriale, docente per il corso di Laurea in Ingegneria Edile/Architettura, i cui interessi di ricerca spaziano dalla computer grafica, alla metrologia e al Building Information Modeling.

Come è entrato il BIM nelle sue attività di docenza?
Il mio settore di afferenza scientifica è quello del disegno e della rappresentazione d’architettura: negli anni, quindi, i miei insegnamenti si sono concentrati sulla modellazione prima geometrica, quindi parametrica. In seguito, la gestione dell’informazione tramite modelli mi ha permesso un trasferimento di conoscenze in corsi sempre più richiesti nei percorsi di laurea, nelle scuole di specializzazione, nei master post laurea e nei workshop rivolti ai professionisti negli istituti edili. Ho poi avuto la fortuna di approfondire gli aspetti della formazione alla progettazione digitale negli Stati Uniti e in Giappone, dove pensare in termini di interdisciplinarietà è alla base di molti insegnamenti.

Da quanto tempo si occupa di BIM?
Già dai tempi dell’università, ancora da studente, seguivo con attenzione le principali tendenze d’innovazione nel mondo della progettazione architettonica ed ingegneristica, sebbene fossero ancora lontane dalla transizione del CAD verso la modellazione BIM. Nei primi anni 2000, quando ancora non se ne parlava in Italia, ho iniziato ad interessarmi alla gestione dei dati nel processo edilizio, agevolato dalla grafica parametrica. Durante il mio dottorato ho poi approfondito lo studio delle interazioni tra discipline diverse e dei procedimenti BIM in generale, teorizzando una struttura di sviluppo digitale del progetto per mezzo di modelli informativi. Nello specifico, potrei rispondere che mi occupo di BIM da circa 16 anni.

Quali sono i filoni principali di ricerca?
La pubblicazione, lo scorso dicembre, del decreto 560/17 ha introdotto una tempistica di adozione del BIM negli appalti pubblici che non può più essere ignorata. Sebbene se ne intuisca il potenziale, il processo è ancora da definire nelle sue peculiarità, nei suoi strumenti e nelle sue variabili. I lodevoli sforzi di UNI, con la norma 11337/17, costituiscono un passo concreto nell’approccio alla digitalizzazione in generale e al BIM in particolare. Ma la ricerca dev’essere ancora indirizzata alla filiera produttiva della realizzazione e della manutenzione (fino anche al dismantling). Il “sistema Italia” può e deve trarre vantaggio dal BIM, ma occorre una contestualizzazione al di là dei numeri o delle migliori pratiche azzardate da taluni: ad esempio l’intervento sul patrimonio esistente, solo parzialmente contemplato dal Building Information Modeling delle origini, è una frontiera di investigazione per la definizione di regole precise nella tutela del costruito, non solo necessariamente monumentale.

Con quali strumenti lavorate per formare all’utilizzo della metodologia BIM?
Fondamentalmente con strumenti di modellazione grafico – parametrica e software di programmazione visuale, integrati poi da algoritmi di code checking e space programming per affiancare la parte progettuale a quella della generazione dei modelli – prototipo. Ma anche gli strumenti di visualizzazione sono importanti: la realtà virtuale e la realtà aumentata stanno delineando scenari dove il patrimonio dei dati racchiusi nei modelli digitali viene consultato nella realtà del cantiere o per le necessità del facility management. E’ quindi importante conoscere almeno i termini generali di queste tecnologie e come si rapportano alla digitalizzazione.

Gli studenti come si stanno orientando al BIM?
Con la curiosità e la consapevolezza che si tratta di un approccio nuovo. Modellare un edificio significa prima di tutto comprendere come è fatto e come funziona; per gli studenti questo implica un approfondimento maggiore rispetto alla semplice rappresentazione tecnica. Occorre saper progettare per modellare nel BIM. E’ sicuramente un percorso di apprendimento più faticoso, ma molto più professionalizzante e strategico. Inoltre l’interdisciplinarietà insita nell’approccio fornisce innumerevoli prospettive, in grado di convogliare gli interessi degli allievi verso i campi di studio più vari.

Quali sono secondo lei le prospettive future del BIM in Italia?
Stiamo vivendo una contingenza digitale estremamente stimolante: la regola nascente impone di ripensare modi e metodi, anche lasciando la possibilità ai professionisti di cercare suggerimenti nelle esperienze estere. Queste tuttavia non sempre si ritagliano al nostro contesto, che va interpretato a fondo per immaginare un piano di adozione del BIM. Non si tratta di rivoluzionare una tradizione costruttiva radicata, ma di apprendere modi nuovi di realizzarla, migliorarla e darle più valore. Nell’immediato futuro auspico molta, molta sperimentazione.

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Giornalista professionista della redazione di BIMportale, dopo i primi anni a rincorrere notizie di cronaca e attualità ha deciso di fermarsi per seguire più da vicino il mondo dell’architettura e del design. Collabora con diverse testate di questo settore alla ricerca di progetti e nuove iniziative da raccontare e descrivere con una particolare attenzione alle idee più innovative approfondendo anche tematiche legante al rispetto dell’ambiente e alle fonti rinnovabili.


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