Simone Balin è un giovane ricercatore del dipartimento DABC – Architettura Ingegneria delle Costruzioni e Ambiente Costruito del Politecnico di Milano, la cui attività didattica è oggi in particolare focalizzata sul BIM, i suoi sviluppi e le sue interconnessioni con i più avanzati temi e ambiti disciplinari fra cui Blockchain, Intelligenza Artificiale, Generative Design, Cloud Computing e, soprattutto, l’applicazione delle Tecnologie Immersive nell’ambito del Building Information Modeling. Con lui abbiamo parlato di formazione, ricerca e future prospettive delle nuove tecnologie in ambito progettuale.
Può riassumerci in breve la sua esperienza didattica?
Ho iniziato a occuparmi di BIM durante i miei studi universitari nel 2014. L’idea di avere a disposizione uno strumento che permettesse di creare e gestire informazioni correlate alla geometria del modello mi affascinava. Ho avuto l’opportunità di esplorarlo in diversi campi, come l’ingegneria, l’architettura e la ricerca. Nel 2021, ho iniziato a insegnare presso il Politecnico di Milano, nel dipartimento DABC, per i corsi Digi Skills – Rappresentazione dello spazio in ambiente digitale. Ho avuto l’opportunità di tenere corsi didattici anche per ALER Milano e l’associazione ANCE, dove in questo caso mi sono rapportato con professionisti già attivi nel settore delle costruzioni. Nonostante la mia giovane età, ho avuto modo di gestire e perfezionare un corso sul BIM, dove la parola chiave non è solo l’apprendimento, ma anche la flessibilità. Ricordo sempre agli studenti che devono portare a casa due cose: la conoscenza della metodologia BIM, e l’attitudine a essere dinamici e aperti, in quanto il campo del BIM evolve molto velocemente. Quello che oggi risulta complesso o impossibile, domani può diventare routine.
Quindi il BIM è ormai di fatto “nativo” in ambito universitario?
Sì, il Building Information Modeling è diventato una parte fondamentale della didattica in molti atenei italiani. Rispetto a 10 anni fa, quando non era così scontato trovare un corso BIM nei piani di studio, oggi sono stati fatti molti progressi. Nelle scuole di architettura e ingegneria, i corsi BIM sono ormai obbligatori nei piani di studi, e anche la normativa nazionale e internazionale ha dato il suo contributo. Per esempio la UNI 11337-7 definisce esplicitamente figure professionali, abilità, conoscenze e competenze necessarie. In questo modo, una volta conclusi gli studi, è possibile l’inserimento nel mondo del lavoro con competenze già acquisite oppure continuare gli studi seguendo corsi di specializzazione, master e dottorati. Tale evoluzione, devo dire molto rapida, è stata possibile anche grazie alla crescente richiesta di figure professionali in grado di gestire tale metodologia. Per questo ritengo fondamentale una continua collaborazione tra università e mondo del lavoro, in quanto gli input non sono monodirezionali, ma i due ambiti hanno bisogno di interagire e arricchirsi a vicenda.
Come indirizzate la formazione dei futuri professionisti?
Personalmente, se parliamo di futuri professionisti BIM, devo fare innanzitutto una distinzione. L’università offre sia corsi per studenti che saranno i nostri futuri architetti e ingegneri, sia per tecnici e professionisti che già operano nel mondo delle costruzioni. Quindi, da un lato, abbiamo studenti universitari che, oltre ad apprendere la metodologia BIM, stanno svolgendo un percorso a 360 gradi per apprendere la professione dell’ingegnere o dell’architetto. Dall’altra, abbiamo professionisti del settore che già operano nel mondo delle costruzioni e che hanno bisogno di aggiornare, o meglio incrementare le loro competenze per rimanere competitivi nel mercato. Per entrambi la prima premessa è quella di chiarie la distinzione tra metodologia BIM, e gli strumenti digitali utilizzati per implementarla. Nel dettaglio, per gli studenti universitari prediligo strutturare i corsi in due filoni. Il primo è puramente pratico, con l’obiettivo di fornire allo studente le competenze professionali necessarie per confrontarsi con il mercato, creando quindi una risorsa già pronta all’uso.
Sin dalle prime lezioni cerco di strutturare in loro un vocabolario completo, sottolineando l’importanza di conoscere un PGI, un BEP, le WBS, come devono essere lette tali informazioni, e assegno a ciascuno un caso studio che deve sviluppare come un vero e proprio incarico, con valutazioni e revisioni programmate, una sorta di stato di avanzamento lavori. Il secondo filone riguarda la ricerca e la sperimentazione, e questo si riflette nella parte della tesi, dove vengono presi in considerazione alcuni aspetti vulnerabili, poco indagati o di attualità, e su cui si cerca di costruire un processo spendibile per ulteriori ricerche o casi pratici. Nel caso di professionisti già attivi nel settore delle costruzioni, che hanno già acquisito una loro metodologia operativa, adotto una struttura di apprendimento diversa, in quanto il tempo a loro disposizione per apprendere una nuova metodologia e dei software è limitato. Quindi, sempre basandomi su casi pratici, lavoro per comparazioni tra un flusso di lavoro che utilizza la metodologia BIM e flussi di lavoro che non la adottano. Questo permette ai professionisti che si affacciano per la prima volta a questa disciplina di fissare in modo indelebile i concetti e rendersi effettivamente conto del reale beneficio del BIM. In sintesi, ciò che cerco di insegnare è l’importanza di sviluppare sempre nuove competenze e non essere “statici”.
Sicuramente alcuni studenti continueranno ad approfondire nel mondo del BIM, mentre altri potrebbero abbandonarlo. Tuttavia, l’aspetto fondamentale è iniziare a considerare queste nuove metodologie come dei sistemi in continua evoluzione. A volte esse apportano miglioramenti incrementali, altre invece introducono vere e proprie rivoluzioni, e questo processo avviene in modo costante. La parola chiave è: “siate flessibili”. Se riconosco che i miei studenti hanno appreso questo, so che hanno acquisito una visione da professionisti nel campo, che può essere applicata in qualsiasi altro ambito dell’architettura e dell’ingegneria.
Come avvenuto in passato per altri salti epocali come quello dal tecnigrafo al CAD, in occasione di questi passaggi si paventa sempre il rischio che le tecnologie digitali limitino in qualche misura il gesto creativo del progettista; qual è la sua opinione in merito?
Torniamo di nuovo alla distinzione tra gli strumenti utilizzati e la metodologia adottata, mettendo l’accento sulla fase concettuale del progetto. È importante considerare l’interazione tra gli strumenti che usiamo e la nostra metodologia di lavoro. Questi strumenti, sebbene utili, non possono e non dovrebbero limitare il ‘gesto creativo’ del progettista, che rimane un elemento unico e insostituibile del processo di progettazione. La tecnologia, pur offrendo notevoli vantaggi e potenzialità di sviluppo, ha dei limiti intrinseci quando si tratta di creazione e concettualizzazione. Può supportare il progettista nelle fasi successive del progetto, come lo sviluppo e l’elaborazione di alternative o variazioni al concetto iniziale. Anche tecnologie avanzate come il Generative Design e l’Intelligenza Artificiale, nonostante la loro potenza, necessitano sempre di un input iniziale, un ‘gesto’ che solo il professionista può fornire. A mio avviso, nonostante i progressi tecnologici, il ruolo del professionista nel processo creativo rimane fondamentale e insostituibile.
A questo proposito, quali sono a suo avviso i filoni di ricerca didattica attualmente più interessanti?
Nella ricerca, è evidente che oggi la metodologia BIM sta godendo di grande popolarità da diverse prospettive. Personalmente, osservo l’evoluzione del BIM suddividendola in due fasi temporali. La prima fase si è estesa fino al 2020 circa, mentre quella attuale può essere definita come BIM 2.0. In passato i temi di interesse erano principalmente concentrati sull’applicazione del BIM negli appalti pubblici, sull’interoperabilità, sugli standard e i protocolli, il digital twin, il computational design, e così via. Con l’avvento del BIM 2.0, questi temi restano rilevanti, ma si osserva un crescente interesse per aspetti che attualmente sono più stimolanti per la ricerca, e che incontrano difficoltà nell’applicazione pratica. Questi includono la Blockchain, l’Intelligenza Artificiale, il Generative Design, il Cloud Computing, le Tecnologie Immersive, e così via. In particolare, nella mia attività di ricerca mi sto occupando dell’applicazione in ambiente BIM delle tecnologie e delle realtà immersive, come la Realtà Virtuale e Aumentata.
Attualmente si riscontra una lacuna nella letteratura, in quanto si discute spesso della gestione del dato digitale, ma raramente della rappresentazione del dato, specialmente in un ambiente virtuale. Credo che le tecnologie di AR e VR stiano raggiungendo livelli di maturità che rendono questo campo di ricerca particolarmente fertile. Ad oggi, non esiste uno standard che permetta di strutturare e organizzare un progetto utilizzando tecnologie immersive; gli standard attuali si concentrano sulla strutturazione e organizzazione dei dati e delle relazioni, ma non definiscono la rappresentazione grafica e, più nello specifico, la rappresentazione immersiva di un modello BIM. Ciò lascia spazio a diverse interpretazioni e implementazioni da parte dei vari software e utenti, causando problemi di rappresentazione, interoperabilità e compatibilità. In questo contesto la mia attività di ricerca è oggi orientata in tre ambiti: da un lato, come le tecnologie immersive possono supportare la progettazione e quali sono i loro attuali limiti, da un altro il loro potenziale contributo alla fase di esecuzione del progetto, e infine qual è il loro ruolo all’interno dell’intero flusso di lavoro, dalla concezione fino alla gestione dell’opera.