Graziano Lento: Il BIM è uno strumento di mitigazione del rischio

Se parliamo di informatizzazione e strumenti per la progettazione assistita, di tecnologie per la modellazione architettonica, di BIM, e in generale di quanto sviluppato negli ultimi venticinque anni per quanto riguarda il rapporto tra progetto e tecnologie informatiche, un nome come quello di Graziano Lento è di sicuro riferimento. Autodesk per molti anni e oggi Anafyo, sono solo “segnali” di riferimento per provare a definire un’esperienza molto più ampia e trasversale.
BIMportale ha avuto il piacere di intervistarlo per fare il punto sulla situazione del BIM e della digitalizzazione in Italia, e raccogliere spunti, riflessioni e anche qualche provocazione.

Graziano Lento, quando appare per la prima volta nella sua vita la parola BIM?
Nel 2003, con l’acquisizione di Revit da parte di Autodesk – azienda per cui all’epoca lavoravo -, una piattaforma innovativa che sposava questa metodologia allora pressoché sconosciuta in Italia. Le prime reazioni furono piuttosto fredde, in quanto le tradizionali piattaforme Autodesk erano fortemente radicate nel mercato mentre quello di questa nuovo software era praticamente da costruire da zero, ma nel tempo questa decisione si è rivelata decisamente lungimirante. Il primo step che mi ha dato la consapevolezza di essere sulla strada giusta è stata la percezione di essere di fronte a netto un salto qualitativo in termini di tecnologia, considerazione che ci ha rapidamente spinto a stimolare gli utilizzatori a migrare verso questa nuova piattaforma. Il passaggio è stato inizialmente difficile, come sempre avviene in queste circostanze, ma pur con diversi gradi di consapevolezza circa le sue potenzialità e benefici la transizione ha assunto un ritmo sempre più rapido.

E a quasi vent’anni di distanza, come definirebbe oggi il BIM?
Tuttora le definizioni sono numerosissime, non ultimo perché queste non riescono a tenere il passo dell’evoluzione, sempre più rapida, di questa metodologia. Oggi, per me, quella più aderente allo stato dell’arte è quella che considera il BIM uno strumento numerico che permette di fornire l’informazione giusta, al momento giusto, alla persona giusta, allo scopo di supportarne le decisioni e renderle più consapevoli.

Due capisaldi del BIM, collaborazione e condivisione, presuppongono la disponibilità degli attori del processo progettuale a condividere il loro patrimonio di informazioni: c’è stata in questo senso una crescita culturale da parte del settore?
Sul versante progettuale, sia il singolo professionista che la grande società di progettazione sono coscienti del fatto che, entrando in contatto e relazionandosi con altri professionisti, devono necessariamente adottare un’ottica collaborativa, e questo comporta inevitabilmente l’adozione di strumenti ad hoc e di un protocollo di comunicazione comune. Le medesime considerazioni valgono naturalmente per tutte le aziende che partecipano al progetto. Un grosso limite sussiste invece tuttora nell’ambito della committenza, che spesso non è in grado di incidere su queste dinamiche. Un fatto che ha delle importanti ricadute anche sulla contrattualistica, che non di rado risulta lacunosa.

In questo contesto, temi come l’Open BIM e una piena interoperabilità sono obiettivi concretamente raggiungibili in tempi ragionevoli?
Già oggi spesso lavoriamo su progetti utilizzando file direttamente interoperabili grazie al formato IFC. Va tuttavia ricordato che il file interoperabile è una sorta di “immagine statica” di un processo che invece è dinamico, e quindi ha valore di rappresentazione fedele solo del momento in cui viene prodotto. In questo senso l’interoperabilità è già una realtà, mentre se la intendiamo invece come esito di una piattaforma universale trasversale a software e produttori il percorso è ancora lungo. Considerazioni non dissimili si possono esprimere a proposito del cosiddetto Open BIM. L’orizzonte a mio avviso più interessante è piuttosto quello degli Open Process, ovvero dei processi interoperabili. Un tema assai più complesso perché coinvolge aspetti strutturali del lavoro di realtà aziendali assai eterogenei e su cui il cammino è ancora lungo, ma che in proiezione futura a mio avviso dovrebbe entrare nelle valutazioni, e di conseguenza nelle richieste della committenza.

Quali sono, a suo avviso, gli elementi tecnologici, metodologici e organizzativi necessari a migliorare questi aspetti?
È un fatto che la maggior parte delle piattaforme software si è focalizzata soprattutto sullo sviluppo e gestione del progetto, quando invece la maggior parte delle inefficienze e diseconomie si verificano soprattutto nelle fasi di esecuzione e gestione. Il quadro tecnologico odierno è sostanzialmente completo per la quanto riguarda il primo ambito, ma la ricchezza e qualità di informazioni che caratterizza la fase progettuale va man mano a scemare in quelle successive, con significativi passi indietro in termini di efficienza dei processi. Il BIM in sostanza è in una fase di sviluppo avanzata per quanto riguarda la progettazione pura, mentre è ancora carente negli step che la seguono, ed è soprattutto questo il versante su cui è necessario migliorare.

Il “Decreto Baratono” è considerato una pietra miliare per la diffusione del BIM in Italia: qual è stato per lei il suo reale impatto?
Nel settore pubblico ha senz’altro rappresentato un passaggio importante, non ultimo per il fatto di avere portato alla luce una serie di criticità in realtà derivanti da cause pregresse, e in particolare dalla carenza di digitalizzazione dei processi nella Pubblica Amministrazione. Il BIM ha generato una richiesta in questo senso, e gli enti che erano già attrezzati, non solo in termini di strumenti ma soprattutto di approccio mentale, hanno tratto rapidamente beneficio dall’implementazione della metodologia BIM, mentre altri hanno al contrario dovuto ottemperare obblighi di legge e scadenze senza di fatto avere gli strumenti per poterlo fare. In questo senso il percorso è ancora lungo, ed è un errore pensare che i semplici strumenti informatici siano sufficienti; questi sono al contrario l’ultimo anello di una catena fatta di approcci metodologici e una mentalità completamente nuovi.

Nel mondo della committenza privata qual è invece lo stato dell’arte, e quali le criticità?
I committenti privati di grandi dimensioni hanno avviato un processo di strutturazione interna in ottica BIM, dimostrando in questo senso un grado di maturità senz’altro più avanzato rispetto a quello della PA. Diverse invece le considerazioni per le imprese di costruzioni pure, che svolgono essenzialmente un ruolo di fornitori di servizi BIM. Le carenze più comuni da parte della committenza diffusa riguardano soprattutto la stesura dei documenti, soprattutto quelli relativi all’offerta e alla gestione informativa, e più in generale una certa difficoltà a imporre l’adozione di processi e percorsi BIM a tutti i soggetti coinvolti nella progettazione ed esecuzione dell’opera. Un altro limite strutturale ancora piuttosto diffuso è la netta divisione all’interno delle aziende fra chi costruisce e chi gestisce quanto costruito, una compartimentazione che va necessariamente superata se vogliamo che il BIM esplichi in pieno i suoi vantaggi.

Un altro tema molto dibattuto è il rapporto costi/benefici del BIM, e in particolare fra i suoi costi di implementazione nel breve periodo e i suoi ritorni di investimento, che invece tendono a prodursi a scale temporali diverse; qual è la sua opinione?
È un argomento che va inquadrato con precisione, a partire dal concetto di “costo del BIM”, che spesso si tende a identificare con l’infrastruttura digitale mentre al contrario deve innanzitutto comprendere la necessità per l’azienda di dotarsi di una strategia BIM, strutturata e poi correttamente implementata e mantenuta, che rappresenta in realtà il costo più importante. Per quanto riguarda in particolare il ritorno d’investimento, la sua valutazione va fatta in un’ottica che considera il BIM come uno strumento di mitigazione del rischio all’interno di un sistema di project management, uno strumento in sostanza per prevedere in anticipo i rischi legati a un progetto e i mezzi per contenerne le possibili conseguenze. E soprattutto alla luce di questo concetto che deve essere valutato il valore aggiunto generato dal BIM. Su un piano più generale va considerato l’enorme potenziale, anche economico, che risiede nel database informativo legato a un progetto BIM, soprattutto in termini di disponibilità dell’informazione giusta al momento giusto, che ha riflessi di carattere economico/finanziario enormi evidentemente da considerare nel calcolo del ROI. Un terzo aspetto a mio avviso importante in proiezione futura, infine, è il valore di un edificio corredato di un gemello digitale completo, senza dubbio superiore rispetto a quello di un edificio tradizionale per motivazioni legate alla sua gestione e manutenzione nel tempo. Valore che va considerato nel ritorno di investimento del BIM, soprattutto in termini di capacità di valutare il valore degli asset sotto ogni aspetto.

Per concludere, a che livello di sviluppo del BIM si pone il nostro paese rispetto alle altre realtà internazionali?
Dobbiamo innanzitutto considerare il fatto che in altri ambiti progettuali come l’Oil&Gas o il manifatturiero le modalità operative proprie del BIM sono diffuse da un trentennio, mentre il Construction ha uno storico assai più recente. Ciò detto, all’estero le nostre società di engineering possono contare su una organizzazione di progetto e di processo sul versante della committenza senz’altro più evoluta e strutturata della nostra, aspetto che nel nostro paese è ancora carente. Anche la legislazione è più consolidata, e anche questo senza dubbio rappresenta un vantaggio per gli operatori del settore. Sullo sfondo, una considerazione: non adottare il BIM oggi non è un’opzione per chi voglia mantenersi sul mercato, e questo credo porterà nel tempo a un allineamento di sistema alle realtà più avanzate, accompagnato da un approccio alla scala non del singolo edificio ma di area di cui il BIM rappresenterà una delle componenti insieme a quella, a mio avviso altrettanto indispensabile, dei sistemi di rilevazione e monitoraggio in tempo reale del costruito.

 

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Giornalista della redazione di BIMportale, professionista della comunicazione e del marketing per il settore AEC – Architetture Engineering & Construction. Ha lavorato per molti anni nell’editoria B2B dirigendo una delle principali testate specializzate per l’industria delle costruzioni, per la quale è stato autore di numerosi articoli, inchieste e speciali. Durante questa lunga esperienza editoriale ha avuto modo di vivere e monitorare direttamente l’evoluzione del settore e la sua continua trasformazione, lavorando a stretto contatto con i principali protagonisti del mercato: imprese edili, progettisti, committenti, produttori. Su tali premesse nel 2007 ha fondato l’agenzia di comunicazione e marketing Sillabario, che si occupa delle attività di comunicazione e ufficio stampa di importanti marchi industriali del settore delle costruzioni.


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