Con l’espresso inserimento nel Codice dei Contratti Pubblici dell’utilizzo di strumenti e metodologie digitali, l’emanazione del Decreto 560/2017 e, con l’inizio dell’anno, l’avvio della roadmap per la progressiva introduzione obbligatoria del Building Information Modeling negli appalti pubblici, gli aspetti legali inerenti all’impiego del BIM sono saliti prepotentemente alla ribalta, aprendo numerosi filoni di ricerca relativi a svariati aspetti, dai diritti di proprietà intellettuale alla condivisione del rischio di progetto fino alla definizione di regole di buone prassi e contratti collaborativi. Il tutto nel quadro di un approccio integrato al tema, legale e tecnico assieme, che supera la tradizionale separazione del diritto dalla pratica.
In questo percorso un ruolo propulsivo di particolare importanza è quello svolto dal Centro di Construction Law and Management, ente di ricerca sul diritto e management delle costruzioni che riunisce tre poli accademici di eccellenza come l’Università degli Studi di Milano, il Politecnico di Milano e l’Università degli Studi di Brescia e che ha portato fra i suoi risultati la redazione di linee guida per l’utilizzo del Framework dell’Accordo Collaborativo FAC-1, attualmente in fase di applicazione su progetti di particolare complessità.
Con Sara Valaguzza, Professore Ordinario di Diritto Amministrativo presso il Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali ESP dell’Università degli Studi di Milano e Direttore del Centro di Construction Law and Management, abbiamo fatto il punto sui più recenti sviluppi di questo importante lavoro di ricerca e, più in generale, sull’evoluzione del panorama normativo in materia di BIM.
Il Centro di Construction Law and Management sta svolgendo un lavoro molto importante per la definizione del frame normativo in materia di Building Information Modeling: quali sono gli ultimi sviluppi?
Siamo molto soddisfatti. Il Centro è diventato in poco tempo un autorevole interlocutore qualificato di istituzioni nazionali, come l’ANAC, e centri di eccellenza stranieri, come il King’s College di Londra.
Sul territorio milanese abbiamo in cantiere progetti molto innovativi con Assimpredil e con Camera Arbitrale di Milano, con lo scopo di portare nel mondo delle costruzioni una strategia, basata sul valore e sulla promozione delle abilità e delle diversità degli operatori del settore, che migliori il mercato a partire dalla capacità di committenti e imprese di collaborare sinergicamente. Abbiamo organizzato lo scorso febbraio un importante confronto all’Università degli Studi di Milano su accordi collaborativi, contratti FIDIC e tecniche per risolvere eventuali conflitti in via preventiva, che ha riscontrato grande interesse da parte del mondo delle costruzioni e degli studiosi del settore. Dall’anno scorso abbiamo deciso di dotarci di una collana editoriale, dedicata agli studi tecnici e giuridici, con un comitato scientifico misto composto da professori e pratici di livello internazionale. Dopo il primo volume della collana, Governare per contratto, a breve pubblicheremo l’esito di altre ricerche, proprio sulle tematiche del Legal BIM e degli accordi collaborativi. Considerati i risultati raggiunti dal Centro e le importanti iniziative avviate si è deciso che quest’anno l’incontro annuale del Transnational Alliance Group, gruppo mondiale di studiosi e practitioner che si occupano di accordi collaborativi e di tematiche affini, si svolgerà il 9 e 10 Maggio proprio a Milano e sarà ospitato dall’Università Statale.
Abbiamo accennato agli accordi collaborativi: come stanno procedendo le esperienze in questo ambito?
Come prima cosa, occorre intendersi su cosa siano questi accordi collaborativi. Si tratta di una nozione giuridica complessa, che va maneggiata con cura, perché presenta eccezionali potenzialità in termini di miglioramento della qualità della performance dei gruppi di lavoro e di risparmi di costi e tempi, ma anche insidie che rischiano di non essere colte da un approccio semplicistico e non consapevole delle criticità giuridiche sottese. Insomma, gli accordi collaborativi richiedono una competenza specifica e particolarmente qualificata, anzitutto di carattere legale. Lo dico come Professore di Diritto Amministrativo, ma anche come avvocato. Assistendo clienti pubblici e privati nella creazione e nell’esecuzione di accordi collaborativi so quanto sia cruciale fornire una assistenza strutturata, solida e consapevole fin dall’impostazione dei primi documenti della collaborazione. Anche perché gli accordi collaborativi sono accordi atipici, non regolati né dal Codice Civile né dal Codice dei Contratti Pubblici. In generale, gli accordi collaborativi sono utilizzabili in qualsiasi caso in cui il committente o il capofila della collaborazione intenda costituire un’alleanza tra diversi soggetti tutti coinvolti nel successo o nell’insuccesso di una certa iniziativa, e disciplinarla attraverso una documentazione dettagliata dotata di valenza vincolante per le parti. Se, per esempio, si vuole coordinare in un’unica rete l’impresa a cui sono stati affidati i lavori, i suoi fornitori, i subappaltatori, i consulenti, il Coordinatore della sicurezza, o altri soggetti che abbiano un incarico che possa incidere sulla buona riuscita del programma che si intende portare a termine, si può ricorrere a un accordo di collaborazione, sfidando i partecipanti a trovare sinergie che migliorino il lavoro di tutti a beneficio degli obiettivi comuni. Paradossalmente, gli accordi collaborativi sono il contrario della logica del “volemose bene” all’Italiana. Nel momento in cui si regola l’azione di tutti all’interno della rete, diventano palesi gli oneri e le responsabilità di ciascuno. Chi non collabora diventa la pecora nera. Per esempio, il mio studio è advisor dello studio di architettura Citterio – Viel: con loro abbiamo strutturato una piattaforma giuridica collaborativa per sostenere un progetto particolarmente sfidante in termini di tempi e di complessità, creando una relazione trasparente tra progettisti, consulenti e committenza a beneficio dell’ottenimento dei target con massima valorizzazione dell’eccellenza del servizio di progettazione BIM.
Il Decreto 560/2017 ha rappresentato senza dubbio un passo importante: qual è la sua valutazione in merito ai primi riflessi sul settore a pochi mesi dalla sua effettiva entrata in vigore?
Il Decreto 560 ha permesso di uscire dall’ambiguità “BIM sì – BIM no” nel settore guida del Paese che è quello dei contratti pubblici. Per il resto, il Decreto 560 è solo un inizio. Affinché il BIM sia efficace e possa essere impiegato per il meglio deve avvenire un radicale ripensamento nel modo di progettare, nell’organizzazione dei gruppi di lavoro, nei contratti. Servirebbe chiarire che cosa significa condivisione dei dati, come deve avvenire l’attività di progettazione perché sia sincronizzata, quali siano gli strumenti di controllo, quali i confini delle responsabilità dei soggetti coinvolti nei processi, quali le competenze che il committente di un progetto BIM deve avere, e che funzioni deve esercitare. Più radicalmente, direi che il BIM non basta. Per cambiare serve puntare sulla riconfigurazione di una identità nuova delle imprese, a qualsiasi livello della filiera si collochino. La gara vera tra le imprese deve cominciare dopo l’aggiudicazione o l’affidamento dell’incarico. Sono i comportamenti virtuosi in fase esecutiva a meritare di essere premiati. Su quello le imprese dovrebbero sfidarsi. A questo servono le tecniche di alliancing. Per questo spero che, almeno nel campo dei contratti pubblici, ANAC proceda nel percorso avviato con la proposta di linee guida sul rating di impresa oggetto di consultazione, rispondendo alla quale il nostro Centro di ricerca ha suggerito di introdurre la capacità ell’impresa di collaborare come indice basato sulle performance documentate nella fase esecutiva dei contratti.