L’introduzione in via obbligatoria del BIM con il parallelo inserimento nel Codice dei Contratti Pubblici dell’utilizzo di strumenti e metodologie digitali sancita dal Decreto 560/2017 ha posto in una luce completamente nuova il tema della contrattualizzazione dei processi, facendo emergere nuove tematiche e soprattutto la necessità di una loro più precisa definizione anche dal punto di vista giuridico. È questo il tema del volume “Accordi collaborativi e modellazione informativa”, opera con cui Paolo Ettore Giana, una carriera di ricercatore al King’s College di Londra e attualmente Senior Information Management Consultant, approfondisce la complessa relazione fra tali ambiti. Con lui abbiamo parlato delle potenziali evoluzioni del quadro normativo in materia e dei riflessi che l’utilizzo di strumenti come gli accordi collaborativi potrà avere sugli attori della filiera BIM.
La sua formazione accademica è di impronta ingegneristica, come è approdato a queste tematiche?
È un percorso già iniziato durante la mia esperienza al Politecnico di Milano, focalizzata in particolare sulla modellazione informativa e su come nuovi modelli contrattuali potessero favorire questo approccio. Durante i miei studi ho analizzato i vari modelli sperimentati a livello internazionale con particolare riguardo al FAC-1, e dopo questa prima esperienza mi sono spostato nel Regno Unito, dove ho continuato a lavorare su queste tematiche presso il King’s College di Londra con l’autore del FAC-1, prof. David Mosley. Da questo lavoro, ed anni di dialogo con l’industria, è nata una linea guida sull’utilizzo di questo modello contrattuale per la modellazione informativa al fine di rispondere agli standard internazionali, quali la serie ISO19650. Questo approccio è già stato adottato da grandi player come il ministero della Giustizia inglese, e questo volume, che tenta di esplorare i presupposti e gli strumenti per la creazione di una collaborazione giuridicamente valida tra le figure professionali e gli attori del processo.
Da quali basi parte e su quali obiettivi si focalizza in particolare la sua pubblicazione?
Mi sono proposto di diffondere le conoscenze su questa materia presso le figure che non hanno ancora una grande esperienza in tema di contratti collaborativi, non ne conoscono i principi fondanti e i loro benefici per il comparto edile, ma soprattutto di creare un dialogo fra mondo giuridico e mondo ingegneristico offrendo un testo che possa spiegare ad entrambi i reciproci benefici derivanti dall’utilizzo di questo strumento. Un modo per stimolare le relazioni fra due mondi che hanno molto da darsi, e per i quali i contratti collaborativi possono essere uno strumento per stimolare la reciproca collaborazione e creare una sintassi comune.
Condivisione e collaborazione hanno un significato preciso che influenza l’approccio legale, tant’è che al tradizionale contratto si sostituisce il termine accordo, un cambio di paradigma importante…
Più che di paradigma di mentalità. La cultura giuridica italiana, anche nel comparto edile, è fortemente legata al contratto non standardizzato, redatto ad hoc per ogni singola commessa. L’intento di questo lavoro è al contrario quello di stimolare la diffusione nel mercato italiano di un modello di accordo collaborativo che permetta di superare la prassi degli accordi bilaterali racchiudendoli e collegandoli gli uni agli altri. In questa ottica il FAC-1 ha tra i suoi punti più qualificanti proprio la capacità di creare una sorta di collegamento trasversale fra più rapporti bilaterali, aspetto che costituisce il suo principale punto di forza. Da un lato, infatti, questo consente di mantenere dei modelli contrattuali cui i committenti sono abituati, inserendoli al tempo stesso in un quadro come il FAC-1 nell’ottica di una progressiva transizione verso un contratto unico, che a mio avviso rappresenta l’obiettivo ultimo di questa evoluzione più che l’elaborazione di un accordo collaborativo che sistematizzi e colleghi più contratti bilaterali.
Qual è la situazione di un mercato più evoluto del nostro sotto questo aspetto come quello anglosassone?
Al momento l’ambito di applicazione del FAC-1 conta 90 miliardi di appalti già contrattualizzati dal 2016 e un trend di crescente espansione, pur se ancora inferiore rispetto alle forme contrattuali più tradizionali che disciplinano le piccole opere, ovvero quelle numericamente maggioritarie. Senza dubbio quando l’esigenza è quella di gestire una commessa molto complessa o che coinvolga contenuti fortemente innovativi, l’accordo collaborativo è già oggi lo strumento giuridico d’elezione, non ultimo per le importanti economie di scala che consente di ottenere.
E in Italia?
Abbiamo già avuto due importanti esperienze pilota come il noto caso studio che ha coinvolto la realizzazione di una scuola da parte del comune di Liscate e il progetto del nuovo polo dell’Università degli Studi di Milano. Su un piano più generale, senza dubbio la logica del FAC-1 si armonizza in maniera particolarmente efficace con le disposizioni del Codice degli Appalti e di conseguenza il suo potenziale nell’ambito dei lavori pubblici è senza dubbio interessante.
Abbiamo parlato di transizione dalla logica del contratto ad hoc a quella dell’accordo collaborativo, come vivono i grandi general contractor questo passaggio?
Come accennavo prima, si tratta di un cambio di mentalità che richiede preventivamente un importante lavoro di formazione e crescita culturale dei soggetti coinvolti in questa evoluzione. I due casi sopra menzionati, ad esempio, sono stati preceduti da una serie di azioni informative di dettaglio rivolte ai committenti e ai soggetti che avrebbero partecipato alle gare circa i meccanismi di funzionamento dell’accordo collaborativo, che hanno chiarito molti dubbi e diffidenze. In questo senso, particolare importanza ha avuto anche il fatto che il FAC-1 sia uno strumento sviluppato da enti in ambito universitario ed esperti che ne hanno validato l’approccio, processo che ne assicura l’imparzialità e la terzietà.
Per concludere con una nota di carattere pratico, oltre a stimolare la collaborazione fra i soggetti coinvolti nel processo progettuale ed esecutivo il FAC-1 può essere considerato uno strumento in grado di ridurre i contenziosi?
Decisamente si. Gli strumenti interni all’accordo, quali ad esempio l’Avviso Preventivo di Allerta, (Early Warning), permettono una notevole riduzione delle dispute che, per riprendere l’esempio inglese prima citato, sui 90 miliardi di opere aggiudicate attraverso questo strumento, la percentuale di contenziosi è ridottissima e la maggior parte delle vertenze è stata risolta all’interno dello schema di accordo collaborativo.