Lo scorso 28 Novembre il team di architetti di BIMon srl (www.bimon.it) composto da Riccardo Pagani, Carmen Iannone, Arianna Cavallo ed Alessandro Sartini ha vinto il premio per la categoria BIM e la menzione d’onore per l’architettura con il progetto PeopleUp al concorso internazionale di idee ABC|MONZA 2019 – The Architectural BIM competition di cui Daniele Massimo Cazzaniga è presidente e ideatore.
Il concorso, fra i primi in Italia a coniugare il processo BIM nell’ambito della progettazione architettonica concettuale, concerne il tema della rigenerazione urbana dell’area industriale dell’area ex Philips di Monza, ormai in disuso da circa 20 anni, in accordo con i principi di sostenibilità ambientale, sociale ed economica.
People Up, un incubatore sociale per la città di domani
Il progetto People Up prende il nome dall’idea di creare un incubatore sociale che possa accelerare e rendere sistematico il processo di creazione di nuove opportunità di integrazione e networking fra gli attori della città del futuro.
Abbiamo colto nella grande libertà concessa dal bando di concorso l’opportunità di esprimere radicalmente il nostro approccio all’architettura: un’architettura strettamente legata al contesto in cui si inserisce, un contesto interpretabile attraverso tendenze, statistiche, dati che le persone e gli spazi producono.
People Up, prima che essere un progetto architettonico, è una proposta di processo che guarda alle digital technologies come strumenti di amplificazione del design.
Alla base dell’innovazione tecnologica, in cui come gruppo vediamo grandi potenzialità, non possiamo sottintendere quelle tematiche con cui da sempre l’architettura è chiamata ad interfacciarsi: il vivere i luoghi, le relazioni sociali, l’uso delle risorse naturali, il rapporto con il contesto. Temi che oggi più che mai definiscono la necessità di nutrire la conoscenza, la curiosità, il pensiero critico, l’adattamento ma soprattutto il senso di responsabilità e collaborazione.
Complessità e consapevolezza
Il termine “contesto” rivela d’altro canto un ambiente sempre più complesso e fragile, con delle condizioni al contorno che impongono un radicale cambiamento di approccio allo sviluppo e alla produzione – un ambiente in cui l’abitare è sempre più un tema progettuale fondamentale.
Proprio da questa consapevolezza scaturisce la necessità di indagine su dati open e custom che descrivono, dalla scala europea fino a quella italiana, temi legati all’abitare: l’insicurezza abitativa ad esempio, che riguarda molte delle famiglie italiane dovuta all’impossibilità di affrontare le spese di mantenimento dell’abitazione, che vede come estrema conseguenza il fenomeno dell’homelessness. Traducendo in dati numerici: il fenomeno in Italia conta al 2011 47.000 senzatetto, 50.724 al 2015, di cui 12.004 nella sola provincia di Milano (al 2014), un decimo dell’intera popolazione di Monza, con il numero più alto registrato in Italia.
Il cerchio e la botte
Il progetto People Up diventa il medium attuativo di un business model circolare: se dal punto di vista tecnologico-ambientale questo implica delle considerazioni rispetto ai materiali dell’edificio, che guardano a prodotti di riciclo provenienti dalle industrie locali o comunque a materiali caratterizzati da una filiera più sostenibile, da un punto di vista più ampio, “umanistico” oltre che tecnologico, si tratta di rivalutare in modo profondo la modalità di vivere gli spazi. Una rivalutazione che guarda tanto alla costruzione di un tessuto sociale resiliente, aperto e inclusivo, quanto al passaggio culturale dal bene inteso come proprietà al bene inteso come servizio, usato temporaneamente nell’arco della giornata e che in quanto tale può e deve essere condiviso in un’ottica di ottimizzazione delle risorse: spazi condivisi significa sincronia, luoghi per la costruzione della cittadinanza, riduzione dell’uso delle risorse e dei consumi uniti a un miglioramento della qualità del servizio.
Il modello del Microliving rappresenta per noi l’innesco di questa rivalutazione: una scelta che guarda non tanto alla riduzione della metratura complessiva per un aumento del numero di unità, quanto all’esternalizzazione di una serie di funzioni tradizionalmente incluse nell’abitazione privata al fine di massimizzare radicalmente gli ambienti condivisi, accogliendo servizi per i residenti e per la città, senzatetto e lavoratori, studenti e anziani – creando insomma un incubatore sociale per la città di domani.
Lo spazio abitativo si riduce quindi all’essenziale e diventa un servizio customizzato, tailored sulla base degli specifici bisogni delle personas – un approccio human centered, insomma. La personificazione di diverse tipologie di utenti, che differiscono per età, esigenze, abitudini orarie, desideri, ci ha permesso di dare un volto e quindi di concretizzare le necessità dei potenziali attori del cambiamento a cui il progetto ambisce.
Digital technologies: lavorare con i dati
Al business model del microliving, si affianca un fitto programma funzionale definito tramite un algoritmo generativo custom, che abbiamo sviluppato per generare una serie di combinazioni di spazi funzionali derivanti dall’analisi di database open che descrivono il contesto in cui il progetto si inserisce (es. la distanza rispetto al lotto di funzioni simili incrociata all’età dei target di riferimento) e vincoli progettuali impostati in fase di concept (es. target potenziali, aree minime per utente, accessibilità oraria…).
L’approccio generativo si fonda su un concetto di sinergia fra mente umana e digitale, che attraverso l’integrazione di analisi predittive consente di valutare attraverso i più innovativi strumenti tecnologici una gamma immensa di possibilità ed individuare scenari e soluzioni con probabilità di efficacia maggiore.
All’utilizzo dei dati si associa il tema della fruibilità: cosa significa rendere le informazioni accessibili? Significa innanzitutto immaginare un processo, immaginare dibattiti, immaginare piattaforme su cui il digital twin dell’edificio è reso disponibile già in fase progettuale. Partecipazione, insomma, che sia in grado di stimolare un senso di appartenenza e sia al contempo un importante strumento di feedback delle scelte progettuali.
Life cycle design
Il tema del processo caratterizza anche la strategia di sostenibilità della proposta. In effetti, non si può parlare di processo esclusivamente legato alla fase di progetto: adottando un approccio olistico, non possiamo che considerare unitariamente le fasi di design, construction e management dell’edificio, abbracciandone cioè l’intero ciclo di vita. La scelta di “fasizzare” il progetto ha una serie di risvolti strategici, in prima battuta dal punto di vista sociale: un innesto progressivo dei vari target abitativi e delle funzioni inserite rende possibile un adattamento del contesto futuro a quello strutturatosi precedentemente. In tal senso la prima utenza innestata è proprio quella di persone – i senzatetto– che rappresentano una fascia a rischio, e che devono essere coinvolte in un graduale processo di reintegrazione. Questa scansione temporale del progetto permette inoltre di immaginare una costante raccolta di dati sul costruito, dati che andranno ad aggiornare continuamente il database di informazioni a disposizione, permettendo un controllo sull’efficacia delle scelte progettuali rispetto alla cantierizzazione e alle operazioni di facility management, come del resto l’efficacia del business model proposto e delle attività inserite.
Suggestioni
Microambienti privati, circondati da ampi spazi condivisi, connessi verticalmente e orizzontalmente tra loro, luoghi di incontro su cui si affacciano luoghi di produzione, spazi-servizio che vengono fruiti in sharing: un grande living in cui uno startupper pranza accanto ad un ex senzatetto reintegrato e abilitato al lavoro dai corsi seguiti nell’edificio accanto, un giardino d’inverno in cui due studenti prendono un aperitivo seduti sull’erba su cui affacciano uffici e case qualche piano più in sù, un concerto in una piazza affollata – contemporaneamente. In due parole: People Up.